Nell’ultimo mese si è intensificato il dibattito attorno agli inceneritori presenti in Veneto e i vari progetti di ammodernamento e potenziamento degli stessi.
Le sostanze emesse dagli inceneritori, anche quelli di ultima generazione, (diossina, metalli pesanti, polveri sottili) inquinano non solo l’aria, ma anche il suolo, le falde acquifere, gli alimenti e per effetto dei venti le zone interessate dalle emissioni possono arrivare fino ad un raggio di molti chilometri attorno all’inceneritore. Inoltre gli effetti di danno alla salute vanno a sommarsi a quelli di altri inquinanti presenti nel territorio (industriale, da traffico, elettromagnetico).
Il Comune di Padova si è recentemente esposto contro la costruzione della quarta linea dell’inceneritore, chiedendo che venga fatta un’indagine epidemiologica sulla popolazione (era ora!) e stoppando di fatto il progetto fino al nuovo piano regionale dei rifiuti; infatti al momento siamo ancora fermi al vecchio piano scaduto il 31 dicembre 2020 e dovrà essere redatto dalla giunta regionale. Si spera che venga data priorità al riciclo e all’economia circolare ma guardando i progetti di Fusina, San Lazzaro, l’ampliamento della discarica di Sant’Urbano sembra che gli interessi economici spingano verso la via dell’incenerimento.
Il Veneto con i suoi 518 siti inquinati è una delle regioni dove la devastazione ambientale è palese, e il problema più grosso lo abbiamo con la gestione dei rifiuti industriali e speciali che spesso vengono stoccati in magazzini e stabili abbandonati da imprenditori furbetti e criminalità organizzata.
Dai sacchi di scorie trovati nei cantieri della Pedemontana, alla discarica abusiva dell’ex C&C a Pernumia, ai capannoni stipati di rifiuti da spedire in Bulgaria fino alla gestione di S.e.s.a del digestato nei comuni della bassa padovana, vediamo come la salute e la tutela del territorio sono costantemente minati da chi ha un solo interesse: arricchirsi facendo profitto sulla nostra pelle.
Il problema principale è che la Regione non si sta preoccupando per nulla di questa situazione, temporeggiando sul nuovo piano Rifiuti e commissariando l’Arpav (il direttore Luca Marchesi è stato nominato capo dell’area Tutela e Sviluppo del territorio della Regione) col risultato di depotenziare l’ente preposto alle analisi sul territorio e al controllo dell’impatto ambientale delle aziende.
Questo ci fa capire la necessità sempre maggiore per i comitati ambientali di mettersi in relazione e in rete tra i territori e di puntare soprattutto su analisi e ricerche indipendenti che promuovano vie realmente sostenibili.
Negli ultimi anni anche con le mobilitazioni di migliaia di giovani di Fridays For Future si è spesso ribadito che bisogna cambiare il sistema non il clima, per farlo tuttavia servono scelte politiche radicali che spingano verso la via dei rifiuti Zero e dell’economia circolare