Le dune, un ecosistema fragile

La pulizia meccanica uccide le nostre spiagge

di Gabriella Buffa* – Ancora una volta siamo all’emergenza litorali, altri metri di spiaggia se ne sono andati, e gli operatori chiedono interventi strutturali. E ancora una volta la soluzione proposta è quella di barriere frangiflutti e pennelli, strutture poco sostenibili economicamente e dannose ecologicamente. Per chi, come me, li studia, i sistemi costieri sono estremamente interessanti. Ma svolgono anche un servizio di cui tutti dovremmo essere consapevoli, perché ha a che fare con la nostra sicurezza. I sistemi costieri, spiagge e dune, sono straordinarie difese naturali contro la forza del mare. Quando sane e vitali, le spiagge assorbono la potenza delle onde riducendole ad uno sciabordio che lambisce dolcemente spiaggia. Le dune costiere sono un “serbatoio” di sabbia. Un serbatoio che si forma lentamente grazie all’azione del vento e alle sabbie trasportate dalle correnti marine lungo costa.

Ma i veri ingegneri delle dune sono le piante. E solo grazie a loro che le dune vengono consolidate e sì accrescono nel tempo. Ed è sempre grazie alle piante che le dune diventano un serbatoio dinamico, in grado di intrappolare la sabbia e poi di restituirla alla spiaggia antistante. Di più, le dune sono il nostro “elemento sacrificale”: in caso di forti mareggiate vengono parzialmente distrutte, ma in questo modo preservano l’entroterra dal rischio di sommersione. Ma, allora la domanda è: perché le nostre spiagge hanno perso questa capacità? C’entrano sicuramente i cambiamenti climatici, con l’innalzamento del livello del mare e un aumento di eventi atmosferici estremi. Ma allo stato attuale l’equilibrio di spiagge e dune è quasi ovunque compromesso dagli interventi umani sul territorio: bonifiche, sviluppo urbanistico, reti di trasporto e porti, infrastrutture turistiche. Urbanizzazione, pulizia meccanica delle spiagge, calpestio incontrollato stanno drammaticamente contribuendo alla scomparsa delle dune. Gli ingegneri delle dune, le piante, sopportano il caldo torrido e la siccità, ma non il calpestio.

Quando le piante scompaiono lasciano varchi, che vengono resi sempre più ampi dal vento, e attraverso i quali, in caso di mareggiata, l’acqua riesce a passare. L’intero sistema perde la capacità di proteggerci. Quando perdiamo le piante, perdiamo le dune. E quando perdiamo le dune, la spiaggia muore. Cosa possiamo fare per risolvere il problema? Sicuramente, problemi come i cambiamenti climatici, le escavazioni di sabbia e ghiaia dai fiumi che sottraendo materiale, impediscono il naturale ripascimento delle spiagge, o le opere di difesa rigide che modificano le dinamiche di deposizione della sabbia, richiedono scelte strategiche globali e visioni a lungo termine. Ma molto possiamo e dobbiamo fare per modificare i nostri comportamenti, per imparare ad avere cura delle nostre spiagge.

Alcune semplici ma buone idee? Gli operatori balneari devono farsi promotori e garanti di un uso responsabile delle spiagge, evitando ad esempio la pulizia meccanica delle spiagge a ridosso delle dune. E spiegandone ai cittadini le motivazioni. Il materiale organico che viene depositato sulla spiaggia, soprattutto dalle mareggiate autunnali e invernali, ha un’azione protettiva nei confronti dei meccanismi di erosione dei litorali sabbiosi e favorisce l’insediamento delle piante. La sua totale rimozione danneggia fisicamente la spiaggia e la duna, aumentando il rischio di erosione. Tutti. Impegniamoci ad utilizzare solo i percorsi indicati per raggiungere la spiaggia, evitando così di calpestare e danneggiare le dune. Gli accessi attrezzati sono molti, spesso è sufficiente fare qualche metro in più. Evitiamo di stenderci sopra le dune, basta spostarsi di qualche metro. Portiamoci a casa i rifiuti che produciamo.
Tronchi, rami e alghe non sono rifiuti, le bottiglie di plastica invece si. 

*Docente dell’Università Ca’Foscari Venezia e coordinatrice scientifica del Progetto Life Redune