di Maria Fiano – C come Cibo, Contadini e Clandestino. È soprattutto di cibo sano e genuino che si è parlato nella tre giorni di Genuino Clandestino a Vicenza. È stato al centro delle discussioni di tutti i tavoli di lavoro perché è attorno alla alimentazione che tutto ruota: il lavoro sulla terra, la trasformazione dei prodotti, i mercati, la trasparenza, la salvaguardia dell’ambiente e della salute, il prezzo sorgente. Ma anche C come Co-produttori e Comunità. Perché attorno al cibo si sono sapientemente costruite negli ultimi anni forti comunità locali in grado di presidiare il territorio, di difendere la terra contro cementificazione e speculazione e contro l’uso di fertilizzanti e pesticidi, capaci di educare i cittadini ad un consumo consapevole e davvero in grado di nutrire il pianeta. C come Clandestino perché decine di coltivatori, allevatori, pastori e artigiani dal Piemonte alla Sicilia si sono auto-organizzati per resistere alle regole dettate dal sistema agroindustriale che mette al bando i piccoli produttori per vendere sul mercato cibi sempre meno genuini e meno affidabili.
F come Filiera: corta, trasparente, tracciabile che di fatto ridefinisce il concetto di KM0 spostando l’attenzione dal fattore geografico a quello relazionale. La filiera ridisegnata dalle voci e dalle esperienze delle diverse realtà sparse in tutta Italia, piccoli produttori, spazi sociali, gruppi d’acquisto, fattorie collettive, aziende a conduzione familiare, fabbriche e mense autogestite, si misura non tanto contando i chilometri, quanto in termini di scelte etiche, collettive e condivise. Così le arance di SOS Rosarno viaggiano per tutta le penisola perché parlano di agricoltura sostenibile, di rispetto del costo e dell’etica del lavoro, di lotta contro lo sfruttamento. I piccoli birrifici indipendenti lanciano la sfida di una filiera chiusa riuscendo ad innescare meccanismi virtuosi di produzioni locali di varietà di orzo che escono e sfuggono alla grande distribuzione immettendo nei mercati autogestiti la nuova birra contadina e biologica.
I come Inquinamento anzi Inquinamenti. La conca di Terni è il caso emblematico di un territorio che ha preso sovranità alimentare a causa della presenza massiccia di diossine, pcb, e metalli pesanti nei terreni e nell’aria, che mettono a rischio coltivazioni, allevamenti, salute. Negli ultimi mesi i contadini del mercato locale hanno appeso un triste necrologio sui loro banchi per segnalare che non possono garantire la genuinità dei loro prodotti, a causa dell’inquinamento prodotto da acciaierie e inceneritore. Quello di Terni è il grido di allarme di un’intera comunità che fa eco a quello di Taranto e di Porto Marghera: le fabbriche che rischiano di chiudere, gli operai che perdono il lavoro, i cibi contaminati, l’aria irrespirabile che sono il risultato di un sistema economico e capitalistico capace di devastare salute e ambiente e che continua a far ammalare e morire perché ricatta la salute con il lavoro.
L come Lessico. Oggi più che dobbiamo restituire alle parole il loro significato senza slegarlo dalle pratiche concrete e quotidiane che si portano dietro. Oggi più che mai perché le parole legate al cibo, all’agricoltura, alla genuinità dei prodotti sono sotto attacco, usate ed abusate dal mercato e dallo spettacolo per far perdere loro efficacia e per svuotarle di senso: così l’EXPO “nutre il pianeta”, il McDonald’s diventa “modello influente di sostenibilità per agricoltura e sana alimentazione”, il KM0 l’etichetta luccicante della grande distribuzione e le “eccellenza made in Italy” della grande fabbrica del cibo di Eataly nascondono nemmeno troppo bene il paradigma per cui solo i ricchi possono mangiar bene, Riappropiarsi di un lessico contadino rappresenta un atto politico necessario che rimette al centro del dibattito le pratiche e le parole che le comprendono.
M come Mercati: contadini, diretti, autogestiti. Organizzati dai produttori e co-produttori che li fanno diventare le nuove piazze cittadine dove si scambiano saperi, sapori e relazioni. Le parole d’ordine sono autocertificazione e garanzia partecipata che parlano di trasparenza e che diventano denominatore comune di questi scambi slegati dalla grande distribuzione e che insistono sulla centralità del territorio, sulla costruzione di comunità a sostegno dei produttori, sull’educazione alla biodiversità alimentare e ad uno stile di vita che rispetta l’ambiente e i ritmi della natura, sulla condivisione di conoscenze e saperi.
N come Narrazione. Anche a Vicenza come negli altri appuntamenti nazionali si è costruito un racconto collettivo di pratiche, di storie, di esperienze. Nelle voci dei tantissimi partecipanti ai tavoli di lavoro, alle assemblee plenarie, nelle pagine e nelle fotografie del libro di Genuino Clandestino (edizione TerraNuova), nelle riflessioni puntuali di Wolf Bukowski che mettono a nudo la grande demistifcazione messa in atto da Eataly, FICO, Slow Food, che ritroviamo nel suo libro “La danza delle mozzarelle” (edizioni Alegre) nei capitoli del documentario “Riprendere la Terra” (www.sottolacapra.it), che raccontano un mondo contadino che riscopre il valore della terra, nel report preciso di Terra Ingiusta (Medici per i diritti umani) sulla situazione del bracciantato nel sud Italia. La narrazione diventa in questo modo strumento quotidiano non solo di testimonianza ma si traduce anche in pratica quotidiana.
R come Reti. Quella nazionale e quelle territoriali di Genuino Clandestino che mettono in moto le comunità locali. Ma anche R come Resistenza alle grandi opere e alla speculazione sul territorio. Così gli orti urbani alla cementificazione, i comitati cittadini alla costruzione di opere inutili e dannose, i contadini all’inquinamento e alla devastazione del territorio. Pezzetti di resistenza che si mettono in rete, costruiscono appuntamenti comuni di confronto e di lotta in una sorta di movimento di mutuo soccorso. L’appello alla mobilitazione per difendere Mondeggi, Cacocci e tutti gli altri presidi territoriali risponde al concetto di “bene comune” e collettivo che è davvero di tutti e da tutti deve essere gestito, valorizzato e difeso.
S come Si può fare. Come recita il titolo dello straordinario libro di Birgit Vanderbeke (del Vecchio editore) e come ripetono sempre i due protagonisti di questo romanzo che mettono in piedi in una Germania post caduta del muro, una piccola Utopia, valorizzano lentezza, pratiche comunitarie, di riuso e di coltivazione diretta. Sì, si può fare – lo abbiamo sentito ripetutamente in queste tre intense giornate –: è possibile coltivare in modo biologico senza utilizzare fertilizzanti e pesticidi, valorizzare antiche varietà di cereali, ortaggi e frutti, più nutritive e resistenti ai cambiamenti climatici, mettere in piedi un altro modello di economia che si basa sulle relazioni e non sul consumo di merci; produrre cibo sano, uscire dalla grande distribuzione, scambiare semi e con questi conoscenze ed esperienze. E possiamo opporci alla svendita dei terreni demaniali, riconvertire fabbriche abbandonate, gestire orti collettivi, condividere conoscenze, imparare a potare gli ulivi, riconoscere e mangiare erbe spontanee, non sprecare, stare attenti a quello che acquistiamo.
T come Terra bene comune. È lo slogan della campagna lanciata da Genuino Clandestino che si oppone alla svendita del patrimonio di terre agricole di proprietà di enti pubblici per fare cassa e propone che queste siano gestite dalla comunità locali, privilegiando forme di agricoltura comunitaria, sociale e di sussistenza, lontano da logiche privatistiche. Una campagna che vuole garantire l’accesso alla terra ai contadini per produrre cibo sano, rispettare i cicli naturali, conservare la biodiversità, presidiare e tutelare il territorio e rispettare e mantenere la sua vocazione agricola alimentare. In quest’ottica si possono e si devono costruire alleanze forti tra movimenti urbani e rurali per riconnettere città e campagna e lottare, cittadini e coltivatori, co-produttori e produttori contro le grandi opere inutili e dannose e la distruzione del territorio.