A Trissino, nel cuore del Vicentino, c’è una ferita che continua a sanguinare: l’ex stabilimento Miteni. Da qui, per decenni, si è diffuso uno degli inquinamenti più gravi d’Europa da PFAS, sostanze perfluoroalchiliche resistenti e bioaccumulabili, che hanno contaminato la falda, i fiumi, il suolo e persino il sangue di centinaia di migliaia di cittadini veneti.
Oggi la bonifica del sito è formalmente avviata, ma la strada verso un vero risanamento ambientale è ancora lunga e irta di ostacoli. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’ARPAV, al 31 agosto 2024 la messa in sicurezza del sito è ancora in corso e riguarda principalmente il monitoraggio della falda e la raccolta dei percolati contaminati. È stato però finalmente approvato il Documento di Analisi del Rischio (ADR), passaggio indispensabile per progettare la bonifica vera e propria. L’approvazione da parte del Comune di Trissino definisce i livelli di rischio ambientale e sanitario e apre la strada al progetto operativo, che dovrà essere presentato entro sei mesi. Un primo segnale positivo, ma non ancora il punto di svolta che le comunità locali attendono da anni.
La Provincia di Vicenza ha affidato nel 2024 un incarico biennale per monitorare l’avanzamento della bonifica, mentre l’ARPAV continua a pubblicare i dati di controllo dei piezometri esterni al sito. Tuttavia, la complessità amministrativa — tra enti locali, Regione, curatela fallimentare e aziende coinvolte — rischia di trasformare la bonifica in un labirinto burocratico. In questo scenario, le associazioni ambientaliste e i comitati dei cittadini, in prima linea da anni, chiedono trasparenza, tempi certi e il rispetto del principio fondamentale: chi inquina paga. Il movimento delle Mamme No PFAS, insieme a “Acqua Bene Comune Vicenza” e ad altre realtà territoriali, ha promosso un Patto di Comunità per l’Ecogiustizia, un documento che chiede una bonifica partecipata e controllata dalla società civile.
L’acqua come bene comune da difendere
Il caso Miteni è, prima di tutto, una crisi dell’acqua. La contaminazione da PFAS ha compromesso la falda che serve un’area vasta della pianura vicentina e veronese. Si tratta di composti che non si degradano facilmente e che tendono ad accumularsi negli organismi viventi, entrando nella catena alimentare. Bonificare non significa solo rimuovere un inquinante, ma ripristinare la fiducia tra cittadini e istituzioni. Ogni ritardo nella bonifica si traduce in un rischio sanitario e ambientale che continua ad aumentare nel tempo.
Le autorità parlano di “messa in sicurezza” del sito, ma per molti ambientalisti è solo un palliativo. La vera sfida sarà eliminare o confinare i contaminanti nella matrice suolo-falda e non limitarsi a contenerli. La tecnologia per trattare i PFAS esiste, ma è costosa e complessa: richiede impianti di trattamento avanzati e un impegno economico che deve ricadere su chi ha causato il danno, non sui cittadini. Serve una cabina di regia pubblica e indipendente che coordini la bonifica, garantisca controlli costanti e renda pubblici i risultati con aggiornamenti periodici e trasparenti.
Un caso simbolo della giustizia ambientale in Italia
La vicenda Miteni non è solo un problema locale. È un caso emblematico di come l’Italia affronta — o non affronta — i grandi disastri ambientali industriali. Ogni rinvio, ogni rimpallo di responsabilità, ogni lentezza procedurale mina la fiducia nelle istituzioni e lascia intendere che l’ambiente può essere sacrificato. Ma il Veneto non dimentica. Le comunità coinvolte, gli ambientalisti, i comitati e i sindaci che si sono battuti per anni continuano a chiedere la stessa cosa: verità, giustizia e bonifica reale.
L’approvazione del Documento di Analisi del Rischio segna un passo avanti, ma il territorio non può più attendere. Dopo anni di studi, processi e promesse, è il momento di passare dalle carte ai cantieri, con tempi certi e risorse adeguate. Non bastano più annunci o foto di ruspe: servono risultati misurabili, acqua pulita, suoli sani e trasparenza totale. Come ricorda uno dei cartelli appesi fuori dallo stabilimento abbandonato di Trissino: “Qui non vogliamo memoria dell’inquinamento, ma futuro di bonifica.” E quel futuro — se davvero vogliamo un Veneto libero dai PFAS — deve cominciare adesso.
EcoMagazine Osservatorio sui conflitti ambientali