L’orso M90 non c’è più. È stato ucciso in Val di Sole, in Trentino, su ordine del presidente della Provincia autonoma, Maurizio Fugatti, che lo aveva definito “problematico” perché troppo confidente con l’uomo. Un decreto di abbattimento eseguito in poche ore, senza narcotizzazione e in assenza di un veterinario, come emerso dalle successive indagini. Ora lo stesso Fugatti, insieme ad alcuni funzionari provinciali, è indagato per “uccisione di animale con crudeltà e senza necessità”.
Dietro a questa vicenda – che la stampa ha raccontato con toni sempre più accesi – si nasconde una questione ben più ampia della sorte di un povero orso. È il sintomo di una crisi politica, culturale e ambientale nella gestione della fauna selvatica in Italia.
L’orso bruno delle Alpi, di cui M90 era un giovane esemplare, rappresenta uno dei pochi successi italiani in materia di conservazione. Reintrodotto negli anni Duemila grazie al progetto Life Ursus, l’animale ha lentamente ripopolato le valli trentine, simbolo di un fragile equilibrio tra tutela ambientale e presenza umana. Un equilibrio che la politica locale sembra oggi voler forzare, piegandolo a logiche di consenso più che a criteri scientifici.
L’abbattimento di M90 non è stato un episodio isolato. Negli ultimi anni, il Trentino ha conosciuto una gestione sempre più muscolare del rapporto con gli orsi: ordinanze, catture, gabbie, decreti lampo. Ogni volta con la stessa giustificazione: “la sicurezza pubblica”. Eppure, a guardare i dati, gli episodi realmente pericolosi restano rari, mentre gli abbattimenti e le catture si moltiplicano. Così il messaggio che passa è chiaro: la convivenza è un problema, non una sfida da governare.
Proprio su questo terreno, la vicenda M90 diventa emblematica. L’orso non fu narcotizzato, ma colpito con più proiettili fino a morire dissanguato. Non era presente alcun veterinario, come previsto dai protocolli di gestione. Tutto avvenne in modo rapido, quasi clandestino, e oggi quelle scelte vengono messe in discussione da un’inchiesta che potrebbe diventare un precedente importante: anche gli atti amministrativi, se eseguiti con modalità contrarie alla legge, possono comportare responsabilità penali.
La nuova normativa introdotta con la cosiddetta “legge Brambilla”, che riconosce agli animali lo status di esseri senzienti, rende ancora più significativo questo passaggio giudiziario. Se i tribunali confermeranno le accuse, sarà un punto di svolta nella gestione della fauna selvatica in Italia: non sarà più possibile giustificare ogni uccisione con l’alibi della necessità, senza prove concrete e senza rispettare le procedure previste.
Ma oltre alle aule di tribunale, ci sono le conseguenze sul piano etico e politico. La morte di M90 ha alimentato un clima di diffidenza crescente tra cittadini, ambientalisti e istituzioni. Le associazioni come ENPA e WWF denunciano da tempo la deriva autoritaria con cui il Trentino affronta la presenza degli orsi, mentre parte della popolazione locale si sente esclusa da qualunque processo decisionale. È il fallimento di un modello di gestione che privilegia la repressione all’educazione, l’abbattimento alla prevenzione, l’urgenza mediatica al lavoro paziente sul territorio.
Eppure, nonostante le polemiche, il caso M90 ha avuto un effetto imprevisto: ha riacceso un dibattito pubblico sopito, portando il tema della convivenza con la fauna selvatica nel cuore della discussione nazionale. Non si parla più solo di orsi, ma di un’idea di politica ambientale. Di come le istituzioni interpretino il proprio ruolo rispetto al mondo naturale. Di quanto sia fragile il confine tra tutela e controllo, tra convivenza e dominio.
Perché dietro ogni orso abbattuto si gioca qualcosa che va oltre la cronaca: si misura la capacità di una comunità di convivere con la diversità del vivente, di accettare l’imprevedibilità della natura senza tradurla subito in minaccia. La vicenda di M90 mette a nudo la povertà culturale di una politica che parla di “territorio” ma non ne comprende la complessità, che invoca sicurezza mentre distrugge l’immagine stessa di un Trentino “verde”, simbolo per decenni di equilibrio ecologico e turismo sostenibile.
Ora la giustizia farà il suo corso, ma intanto la politica dovrebbe interrogarsi. Cosa resta del progetto Life Ursus, dei protocolli europei, delle promesse di convivenza? E soprattutto: che messaggio vogliamo dare alle future generazioni, se il modo in cui gestiamo un animale protetto è ancora quello della caccia al colpevole?
La morte dell’orso M90 non è solo una tragedia ecologica: è una ferita civile. È il segno che la convivenza tra umani e fauna selvatica è diventata terreno di scontro ideologico, più che occasione di crescita collettiva. E finché la risposta politica continuerà a essere il fucile, sarà impossibile parlare davvero di transizione ecologica.
Immagione di copertina tratta da un comunicato di Legambiente
EcoMagazine Osservatorio sui conflitti ambientali